Una delle principali novità contenute nel c.d. “Codice Rosso” (L. 69/2019) è rappresentata dalla introduzione nel codice penale del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, ovverosia del fenomeno conosciuto come “Revenge porn”, termine di derivazione anglosassone finalizzato ad indicare la pratica di divulgazione non consensuale, dettata da finalità vendicative, di immagini intime raffiguranti l’ex partner.
L’art. 10 della citata legge, nello specifico, introduce nel codice penale l’art. 612 ter, ovvero il “delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.
La fattispecie rappresenta una disciplina piuttosto complessa ed articolata in due differenti ipotesi, disciplinate rispettivamente al comma 1 e al comma 2.
Il comma 1 dell’art. 612-ter c.p. recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
Il comma 2, invece, prevede che “La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento“.
Sono previste delle circostanze aggravanti, contenute nei commi n.4 e n.5. Trattasi di ipotesi di commissione dei fatti sopracitati da parte del coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena, inoltre, è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Similmente al caso di stalking, il delitto è punito a querela della persona offesa, ed il termine per la proposizione della querela è di sei mesi.
La remissione della querela può essere soltanto processuale.
Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio
Avv. Marco Bini