Una telefonata dal tono minaccioso ed alcuni messaggi su whatsapp possono integrare il reato di stalking pur se la vittima e lo stalker non si siano fisicamente incontrati?

Per la Corte di Cassazione (n.61/2019) assolutamente si.

Il caso in esame prende le mosse dalla condotta dello stalker il quale, tramite 12 messaggi whatsapp ed una telefonata, ha adottatto (reiteratamente secondo la Casssazione) un comportamento persecutorio idoneo a provocare, nella vittima, un grave stato di ansia e paura, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, una alterazione delle proprie abitudini di vita.

Nella fattispecie lo stalker aveva utilizzato un tono palesemente minaccioso (i messaggi e la telefonata contenevano, tra le altre, le frasi “te la faccio vedere io”, “hai finito di stare tranquilla”, “non ti lascerò mai in pace” ecc.), oltre che riferimenti della medesima natura alla famiglia della vittima ed alla città in cui la predetta viveva.

Partedo da tali premesse la Corte di Cassazione ha considerato integrato il reato di stalking posto che l’evento di danno richiesto dalla norma si era pienamente realizzato, ed escludendo che la condotta dell’imputato potesse rientrare nelle meno gravi fattispecie di molestie o minacce.

La Corte di Cassazione, inoltre, ha chiarito che “indipendentemente dall’incontro fisico tra vittima ed imputato, il reato di atti persecutori si configura nel momento in cui la condotta minacciosa del reo destabilizzi l’equilibrio psichico della persona offesa”

Avv. Marco Bini

 

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